Regione Emilia Romagna; Assessorato Pianificazione e Ambiente, Collana naturalistica - La Vena del Gesso - 1974
  

7 PAESAGGIO

Gilmo Vianello

I caratteri fisici

La fascia terminale dell'Appennino Emiliano-Romagnolo passa gradatamente alle zone di pianura attraverso formazioni o terreni pliocenici e tardo miocenici caratterizzati da sabbie o molasse giallastre e da marne e argille grigio-azzurre.

Queste colline marginali, che non superano quote di 250-300 metri s.l.m. tranne rare eccezioni, sono state particolarmente interessate dall'azione delle acque dilavanti che a seconda del tipo litologico hanno dato origine a forme morfologiche differenti: arrotondate in presenza di sabbie e molasse, incise e lacerate da numerosi sistemi di calanchi quando il substrato litologico è rappresentato da argille e marne.

All'interno di questo basso sistema collinare emergono per qualche tratto in modo appariscente sia sul piano topografico che paesaggistico affioramenti gessosi.

Questi, opponendo maggiore resistenza all'erosione rispetto alle circostanti formazioni sabbiose ed argillose, risaltano sotto forma di alture che raggiungono anche i 500 metri di quota dando origine, specialmente sui versanti esposti a sud-ovest, a pareti molto ripide alla base delle quali si accumulano per crollo blocchi di diverse dimensioni; all'interno della formazione gessosa si rivengono anche manifestazioni carsiche con doline.

Questo differente modo di presentarsi della formazione gessosa, meglio nota con il nome di "Formazione Gessoso-solfifera", vuoi per la messa in posto di carattere geologico, vuoi per la particolare composizione chimico mineralogica, ha permesso la formazione di paesaggi suggestivi e differenziati e la creazione di particolari micro-ecosistemi, in molti casi rimaneggiati dall'azione antropica. Procedendo dalla Romagna verso nord-ovest sono noti depositi di gesso nei territori di Gemmano, Torriana, Mercato Saraceno, Sogliano al Rubicone, Santarcangelo, Cesena e Bertinoro, e tra Brisighella e Borgo Tossignano; nel Bolognese gli affioramenti più noti sono quelli di Castel dei Britti, Farneto, Croara, Monte Donato e oltre il Fiume Reno a Tizzano e Gessi di Zola. Dopo una lacuna nel Modenese, in cui si rinviene solo qualche traccia poco significativa, i gessi ricompaiono nel Reggiano dai pressi di Scandiano fino a Vezzano sul Crostolo.

La Formazione Gessoso-solfifera è particolarmente sviluppata tra la valle del Lamone nei pressi di Brisighella e la valle del Sillaro nel territorio di Borgo Tossignano; in questo tratto, la formazione presenta potenti strati gessosi che si estendono per circa una ventina di chilometri attraverso le valli del Santerno, del Senio, del Sintria, costituendo una fascia larga intorno ad un chilometro e che di frequente tocca quote comprese fra 400 e 500 metri con un massimo di metri 518 a Monte Mauro sulla sinistra del Torrente Sintria. Questo vero e proprio baluardo litologico, definito in maniera particolarmente appropriata dal geologo Sacco "una muraglia naturale che separa nettamente la regione subappenninica pliocenica da quella subappenninica miocenica", e che i Romagnoli chiamano "la Vena del Gesso", è costituito da strati e lenti di gesso per lo più macrocristallino di origine evaporitica, chiamati dai cavatori "seghe di gesso" intercalati ad argille e Marne-argillose ("ghioli") depositatisi nei periodi di diminuita concentrazione salina, durante il Miocene superiore.

Le particolari condizioni di formazione e di giacitura della Vena del Gesso hanno dato origine ad un paesaggio dominato sui rilievi da emergenze insediative quali castelli, chiese, vecchie torri ed antichi villaggi.

Laddove l'azione antropica non è ancora intervenuta, soprattutto come attività estrattiva, il paesaggio appare particolarmente selvaggio con una vegetazione spontanea che tende a svilupparsi specialmente in corrispondenza dei giunti di stratificazione dove i materiali argillosi e marnosi sono in grado di trattenere maggiormente l'umidità e alla base delle scarpate dove l'eterogenea composizione dei materiali litoidi permette la formazione di substrati pedogenetici di limitato spessore, ma comunque idonei all'insediamento vegetativo. A questo proposito si osservino le descrizioni dei tre profili di suoli evolutisi direttamente su gesso riportate nelle Figg. 2, 3, 4; come si potrà notare gli spessori di questi suoli risultano sempre molto esigui e la loro differenza principale consiste nel diverso contenuto e grado di umificazione della sostanza organica negli orizzonti superiori. Nella Fig. 5 viene invece riportata la descrizione di un suolo evolutosi su detrito di gesso risedimentato; il risultato è quello di un suolo più profondo che ha risentito maggiormente di alcuni processi pedogenetici (lisciviazione).

Un particolare aspetto di questo ambiente è la mancanza pressoché totale di una rete idrica superficiale; a causa infatti della intensa fratturazione subita dagli strati gessosi durante i vari movimenti orogenetici, le acque meteoriche del Quaternario hanno avuto la possibilità di erodere le rocce in superficie, ma soprattutto in profondità creando all'interno delle stesse una rete di falde d'acqua, che hanno formato, col passare del tempo, cunicoli, pozzi e caverne di lunghezza e dimensioni spesso considerevoli (morfologia carsica).

Il termine "carsismo" deriva da "carso" (Karst) indicante la regione tra l'Italia e la Jugoslavia, Carso triestino, dove il fenomeno delle infiltrazioni delle acque meteoriche è tale da dare origine ad una rete di circolazione idrica sotterranea imponente con frequente presenza di doline ed inghiottitoi ("foibe").

Per approfondimenti si veda al cap. Morfologia e Carsismo.

Ad esempio nel Brisighellese il Rio Stella si inabissa nella Vena del Gesso tra Monte Mauro e Monte della Volpe; nel Bolognese il Rio Acquafredda si perde nella dolina della Pispola nei pressi del Monte Croara creando un percorso idrico sotterraneo di parecchi chilometri.

Il fenomeno carsico nelle formazioni gessose, pur essendo meno imponente di quello che si sviluppa nelle rocce calcaree vuoi perché i gessi sono rocce più solubili, più plastiche e meno fratturate dei calcari, vuoi perché la frequenza di intercalazioni degli strati argilloso-marnosi rallenta il deflusso delle acque, ha dato origine ad ambienti pieni di interessi naturalistici ed archeologici per la presenza di doline, di risorgenti, di tipi peculiari di vegetazione e fauna e di grotte ricche di depositi antropici preistorici che attestano la presenza di culti alle acque e agli dei inferi.

Il paesaggio antropico

La particolare composizione chimica del gesso (solfato di calcio biidrato) e il differente modo di presentarsi dal punto di vista della struttura cristallina (gesso primario e gesso secondario) ne hanno fatto fin dal passato un materiale particolarmente utilizzato dall'uomo. Questo fatto ha provocato lungo la Vena del Gesso emiliano-romagnola intense trasformazioni rispetto al paesaggio originario, sia in superficie che in profondità.

Il gesso può, infatti, essere utilizzato come pietra da taglio, come gesso cotto e come gesso crudo in polvere.

Dalle più recenti ricerche archeologiche e storiche risulta che una delle più antiche cinte murarie di Bologna era costituita da grandi blocchi di gesso che, a parere del Bergonzoni, devono avere interessato un volume di circa 25.000 metri cubi; sembra inoltre che i grossi parallelepipedi utilizzati per la costruzione dei basamenti delle antiche torri di Bologna siano stati ricavati in gran parte dalle cave di Monte Donato poste sulla collina a sud della città. Così pure in Romagna il gesso in blocchi veniva estratto dalle numerose cave e spesso esportato via mare dal porto di Rimini.

La più accentuata cristallinità di alcuni siti della Vena del Gesso romagnola ha permesso nel passato la apertura di cave per la estrazione di pietra a scopo ornamentale; ad esempio per la costruzione della balaustra dello scalone del Municipio di Imola è stato utilizzato un gesso candido, saccaroide, alabastrino proveniente da Sassatello, presso Pieve di Gesso, tra Sillaro e Santerno.

Attualmente il gesso come pietra da taglio, che fu utilizzato nel passato come basamento e rivestimento di torri e manufatti o lastricati di palazzi e chiese, è sempre meno usato se non a scopo decorativo o nella scultura.

Dall'antichità ad oggi non è invece diminuita l'utilizzazione del gesso cotto ad una temperatura compresa tra i 130 ed i 200 gradi centigradi; il gesso, infatti, cotto e finemente macinato, se mescolato all'acqua acquista la proprietà di far presa ("gesso da presa").

Il fenomeno è legato al fatto che il gesso originario essendo un solfato biidrato, cotto alla temperatura suddetta si disidrata parzialmente; impastato con acqua la riassorbe velocemente riidratandosi ed aumentando leggermente il volume ed asciugandosi all'aria, cristallizza in un aggregato compatto e duro.

Tale comportamento ha favorito il largo impiego dei materiali gessosi nell'edilizia (scagliola, pannelli isolanti, ecc.) e nelle arti (stucchi, bassorilievi, statue, vasi, ecc.) attraverso l'esperienza plurisecolare dei "gessaioli" o "gessaroli".

Negli ultimi decenni ha assunto sempre più importanza anche l'utilizzo della polvere derivante direttamente dalla macinazione del gesso crudo nella fabbricazione dei fertilizzanti o come ammendante da spargere direttamente sul suolo; la rapida solubilità del gesso permette infatti la liberazione nel terreno di calcio e solfo che direttamente od indirettamente migliorano le caratteristiche di struttura e di fertilità naturale dei suoli specie se acidi o basici. Tutto ciò ha comportato nel tempo notevoli forme di alterazione del paesaggio visibili anche da grandi distanze come nel caso delle cave di Monte del Gesso presso Vezzano sul Crostolo nel Reggiano, di Zola Predosa e di S. Lazzaro di Savena nel Bolognese o di Rivola nel Ravennate. Una valutazione sul grado di modificazione del paesaggio è possibile talvolta attraverso la lettura di immagini del passato come nel caso di alcuni disegni conservati presso le Collezioni d'Arte e di Documentazione Storica della Cassa di Risparmio di Bologna. In Fig. 8 la rappresentazione della cava di gesso a Monte Donato, già citato in precedenza, mostra un paesaggio completamente diverso dall'attuale; allo spianamento legato all'attività estrattiva che si è protratta sino all'inizio del secolo attuale, ha fatto seguito in tempi più recenti un utilizzo urbano residenziale; sorte diversa ha invece subito l'affioramento gessoso su cui sorge Castel de' Britti (Fig, 9), che per l'importanza dell'insediamento ha mantenuto pressoché intatta la struttura fisica originaria.

In molti casi per non alterare il passaggio o perché non era possibile aprire cave a cielo aperto si è fatto ricorso ad attività estrattive in sotterraneo creando in certi casi gallerie e cavità artificiali a più livelli e di notevoli dimensioni per le quali risulta sempre più importante pensare e progettare un loro possibile e corretto utilizzo, tale da evitare fenomeni di impatto ambientale quali crolli delle strutture od inquinamento delle acque di percolazione.

Unità e sottounità di paesaggio

Un importante momento dell'indagine ambientale, in grado di evidenziare le particolari caratteristiche paesaggistiche della Formazione Gessoso-solfifera nettamente differenti rispetto a quelle ad esse circostanti, è rappresentato dalla classificazione del territorio in "unità di paesaggio"; l'unità di paesaggio, che deve intendersi come un ambito di territorio omogeneo per caratteristiche fisiche ed antropiche, rappresenta tra l'altro l'entità minima di valutazione ambientale prevista dal Piano Paesistico della Regione Emilia-Romagna ai differenti livelli amministrativi (regionale, provinciale, comunale). Alla suddivisione del territorio in aree omogenee (unità, e sottounità di paesaggio) è possibile giungere sovrapponendo in modo ragionato i fattori che, interagendo tra di loro, hanno dato origine ad un determinato ecosistema.

Nell'esempio di Fig. 11 riferito ad una porzione di territorio che interessa la Vena del Gesso nei pressi di Borgo Tossignano nella vallata del Santerno, i fattori fisici ed antropici utilizzati per giungere alla suddivisione del territorio in unità e sottounità di paesaggio sono stati l'altimetria, la clivometria, l'idrografia di superficie, la Etologia, la geomorfologia e l'uso reale del suolo.

Lo sviluppo tridimensionale del documento tematico di sintesi (Carta delle Unità di Paesaggio) favorisce la lettura del territorio, permettendo di visualizzare i vari aspetti del paesaggio e delle condizioni ambientali.

Una rappresentazione così puntuale delle caratteristiche ambientali attraverso la classificazione del territorio in unità e sottounità di paesaggio permette di associare ad esse proposte e programmi di gestione e riqualificazione delle risorse. Ad esempio nel caso di delimitazione di un'area a parco nella zona indicata nella Fiíg. 11, le sottounità possono individuare le seguenti linee progettuali:

- segnalazione, protezione e valorizzazione dei suoli e della vegetazione esistente, che può costituire un autentico museo vivente;

- indirizzo e tutela dell'attività agricola verso le aree agronomicamente più vocate, con indicazioni per valorizzare le produzioni tipiche e/o colture e tecnologie alternative;

- indirizzo di conservazione del suolo, prevenendo le attività produttive nelle aree a maggiore dissesto ed erodibilità potenziale;

- recupero delle aree degradate con attività agricole, selvicolturali e ricreative.

Nel caso poi delle sottounità poste in zona di tutela ambientale, caratterizzate da bosco misto e cespugliato, è indispensabile prospettare modelli transitori (es.: fustaia transitoria) e non finali per la conversione del ceduo in alto fusto, mostrando così gli aspetti migliorativi del paesaggio a breve termine; nel caso specifico della Formazione Gessoso-solfifera tali condizioni si riferiscono a:

- boschi mesofili (orno-ostrieti) che possono essere avviati ad alto fusto, privilegiando le specie quercine, l'orniello e l'acero oppure mantenendo la ceduazione con turni ragionevoli che favorisce il rifugio di diverse specie animali; può essere anche utile il controllo della Clematis vitalba e della Robinia pseudoacacia;

- boschi xerofili da convertire ad alto fusto, privilegiando anche le essenze produttrici di frutti eduli per l'ornitofauna, come i vari sorbi e il Mespilus germanica;

- rimboschimenti, dove il pino nero e le altre conifere andrebbero possibilmente allontanate, essendo estranee al paesaggio tipico;

- castagneti da frutto, da conservare accuratamente quale preziosa testimonianza storico-culturale e come eventuale fonte di reddito;

- garide, da proteggere scrupolosamente e lasciare alla loro evoluzione naturale;

- praterie, da conservare come cenosi prative, utili soprattutto alla fauna, eventualmente provvedendo al decespugliamento meccanico e allo sfalcio.

Provincia Comune Località Inizio esercizio Note
REGGIO EMILIA Vezzano sul Crostolo Fornace 7/10/1967  
  Vezzano sul Crostolo Monte Gesso 15/02/1965  
  Vezzano sul Crostolo La Vigna 5/08/1968  
  Vezzano sul Crostolo Rio dei Sassi 5/08/1968 Abbandonata
BOLOGNA Borgo Tossignano Tramusasso 8/09/1969  
  Pianoro Croara 2 2/01/1960  
  S. Lazzaro di Savena Farneto Fiorini 23/02/1961  
  S. Lazzaro di Savena Prete Santo 2/11/1960  
  S. Lazzaro di Savena Grotte Farneto 17/02/1961  
  S. Lazzaro di Savena Croara 1 2/01/1960  
  S. Lazzaro di Savena Castel de' Britti 23/02/1962 Abbandonata
  S. Lazzaro di Savena Ca' Gessi 29/02/1964 Abbandonata
  S. Lazzaro di Savena Madonna Boschi 15/10/1970  
  Zola Predosa Castello Gessi 25/07/1961  
RAVENNA Brisighella Monti 8/03/1960  
  Brisighella Fondo Marana 14/02/1960  
  Riolo Terme Montetondo 25/03/1962  
FORLI' Sogliano al Rubicone Montebelli 6/03/1963  
  Sogliano al Rubicone Gabbiano 25/10/1961 Abbandonata
  Sogliano al Rubicone Madonna Saiano 6/05/1969  
  Torriana Uso 5/04/1960 Abbandonata

Tab.1 - Elenco delle cave di gesso censite nel 1974 dalla Ragione Emilia-Romagna nell'ambito del proprio territorio.

Bibliografia

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Speleo GAM Mezzano (RA)