Sino agli anni ’50-’60 del Novecento il valore della Vena del Gesso era quantificato in termini esclusivamente economici, vale a dire come risorsa naturale da sfruttare a vantaggio dell’uomo, in modo particolare attraverso l’attività estrattiva.

Tra la fine degli anni ’60 ed i primi anni ’70 del XX secolo hanno fatto la loro comparsa le prime, timide, proposte per trasformare un’area a vocazione estrattiva quale erano all’epoca i gessi romagnoli in un parco naturale. In poche parole la Vena del Gesso passava da risorsa da consumare a bene da preservare. A partire da allora si è quindi alimentato un acceso dibattito a più livelli (locale, provinciale, regionale e addirittura nazionale) circa la gestione dei gessi romagnoli, andato avanti per oltre trent’anni sino quasi ai nostri giorni. Da una parte la comunità scientifica e le associazioni protezionistiche, che ne rimarcavano il grande valore ambientale e invocavano la creazione di un parco naturale; dall’altra un variegato fronte esteso a cavatori, immobiliaristi, agricoltori e cacciatori, che negava alla Vena del Gesso qualsiasi valore e ne propugnava uno sfruttamento minerario, agricolo e venatorio senza restrizioni di sorta.

Gli Enti Locali, presi tra questi due fuochi, per decenni hanno elaborato numerosi progetti conservazionistici circa la Vena del Gesso, puntualmente mai andati in porto a causa del gruppo di opposizione locale sopraccitato.

 

Nel 2002 fu pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione Emilia-Romagna un Progetto di Legge per l’istituzione del Parco regionale della Vena del Gesso Romagnola su iniziativa delle Province di Bologna e Ravenna e di tutti i Comuni territorialmente interessati. L’area protetta proposta si estendeva su un totale di 6063 ettari, di cui 52 di Zona A (protezione integrale), 749 di Zona B (protezione generale), 1240 di Zona C (protezione e valorizzazione agroambientale) e 4022 di pre-parco; l’ente di gestione veniva individuato in un Consorzio obbligatorio formato dalle Province, dai Comuni e dalle Comunità Montane locali. Tale Progetto di Legge del 2002 è stato poi recepito in toto dalla Legge Regionale n. 10 del 21 febbraio 2005 (approvata in extremis nell’ultima seduta della settima legislatura regionale), che ha sancito formalmente la nascita del Parco regionale della Vena del Gesso Romagnola.

 

Accanto all’istituzione del parco, occorre poi ricordare altri provvedimenti in chiave protezionistica: il nostro affioramento è ricompreso all’interno della Zona di Protezione Speciale (ZPS) e del Sito di Importanza Comunitaria (SIC) IT4070011 “Vena del Gesso romagnola”, legati alla Rete Natura 2000; in quanto area carsica, la dorsale gessosa va inoltre considerata parte integrante del Patrimonio Geologico della Regione Emilia-Romagna (Legge Regionale n. 9 del 10 luglio 2006).

 

 

La cava di Monte Tondo

 

La demolizione di Monte Tondo ad opera della cava di gesso è iniziata nel 1958: si tratta del maggior sito estrattivo gessoso dell’Unione Europea. La cava presso Borgo Rivola è indicata dal Piano Territoriale Regionale del 1989 come polo unico dell’Emilia-Romagna per l’escavazione del gesso. Se questa scelta ha interrotto l’attività estrattiva nelle altre zone dei gessi emiliano-romagnoli, ha però determinato un intenso sfruttamento dell’area di Monte Tondo, tanto che la Grotta del Re Tiberio, di rilevante interesse naturalistico, speleologico ed archeologico, è stata pesantemente danneggiata. I sistemi carsici presenti all’interno della montagna sono stati intercettati dalla cava e, a seguito di ciò, l’idrologia sotterranea è stata irreparabilmente alterata. Anche le morfologie carsiche superficiali sono state in massima parte distrutte; l’arretramento del crinale nonché la regimazione delle acque esterne hanno pesantemente alterato anche l’idrologia di superficie.

Per questi motivi la cava di gesso di Borgo Rivola, attualmente la sola ancora operativa nel territorio regionale, rappresenta una criticità ambientale assolutamente rilevante. Per tanto tempo, la cava ha potuto agire pressoché indisturbata, a causa del regime normativo più permissivo del passato. Sulle comunità e sulle Amministrazioni locali ha prevalso la sola rilevanza economica e sociale, trascurando colpevolmente ogni alternativa di minore impatto ambientale.

Dall’inizio degli anni Novanta in poi, la Federazione Speleologica Regionale dell'Emilia-Romagna è sempre fattivamente intervenuta ed ha costantemente supportato l’impegno dei Gruppi speleologici locali nel difficile compito di difendere e salvaguardare l’area carsica di Monte Tondo dall’invadenza della cava.

Federazione Speleologica Regionale dell'Emilia-Romagna              Speleo GAM Mezzano-RA