Se il contesto geologico in cui si sono formati
i gessi romagnoli è questo, ci aspetteremmo che anche essi siano sedimenti
detritici accumulati in mare profondo. Altrimenti cosa ci stanno a fare in una
successione di quel tipo? Invece la roccia gessosa è formata, anzitutto, da un
solo minerale, il gesso appunto, e non da detriti di rocce diverse. In secondo
luogo, sappiamo che questo minerale si forma nelle saline (Fig. 3); originariamente,
dunque, si trova sciolto nell'acqua di mare e l'intensa evaporazione di
quest'ultima lo fa precipitare sul fondo. Si tratta in altre parole, di un sale,
come quello da cucina; solo che mentre questo è cloruro di sodio, il gesso
è un solfato di calcio, e precipita prima del cloruro quando si fa evaporare
l'acqua. Si può allora immaginare, come ambiente di origine del gesso, una
salina naturale, come ve ne sono oggi, lungo le coste e in estuari, soprattutto
in zone subtropicali a forte evaporazione e semi-aride. Ma si tratta, per
l'appunto, di zone costiere; come si concilia, questa evidenza, con quella che
abbiamo ricavato dai sedimenti detritici che Precedono e seguono i gessi
nel tempo (sono, stratigraficamente parlando, sottostanti e sovrastanti,
rispettivamente)? Evidenza che, ricordiamo, ci parla di mare profondo, di frane
e correnti sottomarine, di sedimenti portati al mare dai fiumi? Inoltre le
dimensioni delle "saline" del Messiniano erano enormi, se confrontate
con quelle attuali, e si estendevano per tutto il Mediterraneo.
Ci sono due modi di spiegare l'apparente
contraddizione: uno consiste nell'immaginare che le condizioni di mare profondo
si siano interrotte prima del deposito dei gessi, e siano riprese dopo. Un
sollevamento del fondo marino avrebbe instaurato l'ambiente costiero per un
certo periodo; poi la subsidenza sarebbe ripresa facendolo sprofondare di
nuovo. Se un sollevamento della crosta non è avvenuto, vi è un'altra
possibilità: che sia variato il livello del mare. Prima si sarebbe abbassato,
poi, dopo il deposito dei gessi, si sarebbe rialzato. Nel nostro caso, un forte
abbassamento del livello marino potrebbe essere stato causato proprio
dall'evaporazione (la stessa causa della sedimentazione del gesso, che viene
detta, appunto, evaporitica), conseguente per esempio a un cambiamento
climatico come una glaciazione. Il successivo innalzamento del livello marino
si può attribuire di nuovo a un cambiamento climatico di segno opposto
(scioglimento di ghiacci) o a un fenomeno arealmente più limitato, come una
specie di inondazione marina (trasgressione), che avrebbe sommerso la salina e
interrotto la precipitazione evaporitica, facendo tornare l'apporto di
particelle detritiche. Ma vi è un'altra possibile spiegazione della presenza
gessi in una successione detritica: che anche i gessi sia detritici. Essi si
sarebbero formati sì in saline costiere, poi queste sarebbero state spazzate
da tempeste o sottoposte a erosione fluviale: i cristalli di gesso, abbastanza
fragili, si sarebbero rotti facilmente producendo un detrito gessoso, e questo
sarebbe stato trasportato sotto il mare da correnti o frane. In questo modo, la
profondità del bacino di accumulo non sarebbe cambiata, e nemmeno i meccanismi
di sedimentazione e trasporto. Dovremmo semplicemente dire che il gesso non
rappresenta direttamente un ambiente di salina, che doveva situarsi sui
bordi o su un bordo dell'avanfossa appenninica.
Tra queste due ipotesi sull'ambiente di
deposizione dei gessi, non possiamo semplicemente scegliere quella che ci piace
di più, ma metterle entrambe a confronto coi fatti, e vedere se questi si
accordano con una e smentiscono l'altra, o se eventualmente ci suggeriscono
altre spiegazioni ancora.
Cerchiamo allora di osservare meglio i nostri
strati di gesso. Una prima cosa che notiamo, già da lontano (Fig. 4, Fig.
5), è il diverso spessore dei banchi di gesso; alla base della formazione
sono davvero imponenti (uno solo può raggiungere i 30 m), verso l'alto
diventano più sottili (ma sono sempre dell'ordine di qualche metro). A prima
vista, tutti i banchi sono simili, a parte lo spessore, e in effetti sono
composti dallo stesso materiale, gesso in cristalli. I cristalli sono evidenti
a occhio nudo, e questa varietà di gesso si chiama selenite. Guardando
meglio, cominciamo ad accorgerci che vi sono cristalli più grandi (a luoghi
addirittura enormi) e più piccoli, anche nello stesso strato o banco. Poi,
certi hanno una forma caratteristica (quella più comune è detta a ferro di
lancia o a coda di rondine: vedi Fig. 6), mentre altri ce l'hanno
irregolare o dall'aspetto decisamente frammentario e particolato (Fig. 7)
Inoltre quelli meglio sagomati e a punta mostrano spesso un orientamento quasi
uniforme, con le punte stesse volte verso il basso; altri hanno invece
orientamento casuale. Infine vi sono cristalli limpidi e cristalli torbidi
questi ultimi, per l'esattezza, hanno un nucleo scuro, opaco, e un alone
trasparente. Ovviamente cominciamo a sospettare che queste differenze abbiano
un significato per il nostro problema, e cioè quello di capire modo e ambiente
di origine del gesso.
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Fig.
3 - Un esempio di salina (o di quel che ne resta) nell'Isola di Salina
dell'arcipelago eoliano. (foto F. Ricci Lucchi) |
Fig. 4
- Una panoramica della formazione gessosa nella Vena del Gesso in destra
Santerno. (foto F. Ricci Lucchi) |
Fig. 5
- Sezione stratigrafica, che mostra la successione dei banchi di gesso alla
vecchia Cava Paradisa di Borgo Tossignano. (modificata da Vai & Ricci
Lucchi, 1976) |
Fig. 6
- Grossi cristalli di gesso (selenite) alla base di un banco.I cristalli sono
rimasti nella posizione di crescita, con punte rivolte verso il basso. Le
punte erano conficcate nel fango di una laguna. Questo orientamento è noto
anche come "regola del Mottura". (Foto Ricci Lucchi) |
Fig. 7
- Cristalli di selenite rotti e accumulati caoticamente a formare una
breccia, rinsaldata da detrito di gesso e carbonato di calcio. (foto
G.B. Vai) |
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Tra l'altro, vediamo anche che i banchi non sono
fatti interamente del minerale gesso; vi si trova anche del calcare e della
marna (misto di calcare e argilla), soprattutto come pellicole o
"matrice" che avvolgono i cristalli di gesso (preferenzialmente
quelli irregolari e frammentari). Più raramente, si rinvengono sparsi resti di
legno, carbonizzo o addirittura gessificato (sostituito da gesso). Mancano
invece cristalli di sale cloruro, ovvero salgemma. Se percuotiamo poi uno dei
cristalli opachi, sentiamo odore di catrame, segno che il gesso contiene
sostanza organica trasformata in idrocarburi. Questo è un indicatore
importante, come vedremo tra poco. Lo stesso odore lo fanno delle marne scure,
facilmente sgretolabili in foglietti e lastrine, che separano i banchi di
gesso; dunque anche queste rocce argillose contengono in abbondanza sostanza
organica sfuggita alla decomposizione. Normalmente la sostanza organica si
accumula nel sedimento marino sotto forma di carogne di organismi che vivevano
nelle acque superficiali, dove c'è il massimo nutrimento (alghe, batteri,
meduse, ecc. = plancton) o sotto, come i pesci. Guarda caso, le marne scure tra
i gessi (che troviamo poi anche, per vari metri, sotto alla formazione),
contengono resti fossili di pesci, insieme a resti e larve di insetti, foglie,
piante varie e così via. Ovviamente questi resti fossili ci dicono molte cose
sull'ambiente dei gessi, anche se parte di essi è stata trasportata dal gioco
delle correnti. Il fatto stesso che ne ha permesso la conservazione è molto
indicativo: rivela che mancava l'ossigeno nelle acque più profonde del bacino.
Infatti, in presenza di ossigeno i resti organici si decompongono rapidamente,
come vediamo fare alle foglie d'autunno; nell'acqua marina vi è normalmente
disciolto dell'ossigeno, e quindi di norma i resti organici che cadono sul
fondo non si possono conservare. A meno che l'acqua presso il fondo ristagni,
ovvero la circolazione si interrompa per un qualche motivo. Allora l'ossigeno
è consumato e l'ambiente, da ossidante, diventa riducente.
Tra lo strato di marna scura e quello di gesso
sovrastante vi è talora una roccia calcarea sottilmente stratificata; si
tratta di una stromatolite (Fig. 8), derivante dalla cementazione di Tappeti
algali (o batterici). Questi sono fatti di filamenti appiccicosi di alghe
primitive o batteri, che possono trattenere particelle di sedimento con cui
vengo a contatto. I resti delle alghe non si sono conservati, indicando che
l'ossigeno era presente in questa fase; quelli che restano nella roccia sono
gli straterelli di particelle catturate. Queste strutture sono molto
indicative, non solo per la presenza di ossigeno, ma anche di luce, senza la
quale gli organismi non possono svolgere la fotosintesi. Ciò vuol dire che la
profondità dell'acqua era molto scarsa dove si impostavano i tappeti. Ma
quando si depositavano i gessi, le condizioni restavano le stesse? Oppure
aumentava la profondità e l'ossigeno era consumato? La risposta è stata
trovata nei primi cristalli di gesso che poggiano sulle stromatoliti calcaree;
guardandoli attentamente con una lente o al microscopio, si vede che la zona
centrale, più scura e opaca, non contiene solo impurità argillose e
organiche, ma un feltro finissimo di filamenti, simili a quelli di un tappeto.
Sono rivestimenti calcarei dei famosi filamenti algali, che dunque sono stati
inglobati e conservati nel gesso man mano che il cristallo cresceva. Ne deriva
che il gesso "nasceva" e si sviluppava entro i tappeti algali, quindi
non nell'oscurità di un bacino profondo, ma ai margini di esso, in una laguna
con poca acqua. Con l'evaporazione sempre al lavoro, il livello dell'acqua
calava e di conseguenza la laguna diventava una salina evaporitica. Se il
livello calava troppo, la salina andava a secco; i sedimenti e i cristalli,
oltre a ossidarsi, restavano esposti all'erosione dei fiumi o delle mareggiate.
I cristalli di gesso potevano così essere rotti e trasportati come detrito.
Questo comporta un fatto molto interessante: negli strati di gesso si possono
trovare sia cristalli normali, nella loro posizione di crescita (con le punte
rivolte verso il basso), sia frammenti di cristalli accumulati meccanicamente
come ghiaia, breccia o sabbia di gesso. Quest'ultima, cementandosi, diventa una
gessarenite, in altre parole un'arenaria fatta di gesso.
Le ipotesi dell'origine evaporitica e
dell'origine detritica del gesso non sono dunque necessariamente in conflitto
tra loro, nel senso che l'origine prima del gesso è per forza quella di un
sale; dopo la deposizione, però, il gesso può essere rimosso. Si tratta
allora di vedere quale è l'ambiente dove è avvenuto l'atto finale della
deposizione, e confrontarlo con quello dell'origine primaria per vedere
se i due coincidono o sono diversi. In un ambiente costiero, dove il livello
dell'acqua subisce marcate oscillazioni e con esso il livello di energia
meccanica (acqua calme o agitate), noi possiamo trovare sia cristalli in posto
sia detrito di gesso. Quindi, pure ammettendo che parte del nostro gesso sia
stato rimosso dalla salina d'origine, possiamo escludere che sia stato messo in
posto in un mare profondo. Da quanto detto sopra noi vediamo che è possibile
ricostruire i processi di origine di una roccia dagli indizi che essi hanno
lasciato nella roccia stessa; basta interpretare questi indizi alla luce dei
processi che agiscono nel mondo attuale. In questo modo, usando cioè il
criterio che geologi chiamano dell'attualismo, possiamo però arrivare
solo fino a un certo punto. Infatti non vediamo oggi formarsi, in alcun
ambiente del nostro pianeta, banchi di gesso così potenti come quelli della
Vena del Gesso. Né tanto estesi e diffusi: sappiamo infatti che formazioni
simili si depositavano alla stessa epoca (Miocene superiore o Messiniano: tra
6,5 e 5,5 milioni di anni fa circa) in varie parti del Mediterraneo, compresi
vasti bacini oggi coperti dal mare. I volumi di sali accumulati sono enormi, e
per ottenerli occorre far evaporare quantità incredibili di acqua di mare. E
possibile che ci sbagliamo nel paragonare l'ambiente dei gessi alle poche e
limitate saline naturali attuali? Eppure vediamo crescere anche oggi cristalli
di selenite singoli o a "ciuffi", nel fango o entro tappeti algali (Fig.
9); vediamo formarsi detrito di gesso, sabbia di gesso setacciata dalle
onde, e così via. Se prendiamo in esame, cioè i singoli caratteri della
roccia gessosa e degli altri strati associati, li possiamo spiegare come
prodotti di processi e meccanismi identici a quelli che agiscono oggi. Non
troviamo però un uguale ambiente. Viene fatto, allora, di pensare che
il Mediterraneo, nel Miocene superiore, si sia venuto a trovare in condizioni
un po' particolari. Anche oggi vediamo che il suo equilibrio idrologico è
molto precario, e infatti temiamo molto per il suo inquinamento. Ciò perché
è un mare interno, non chiuso ma quasi; la sua comunicazione con l'Oceano
Atlantico, a Gibilterra è un passaggio stretto. Da lì entra acqua dall'oceano
in superficie, mentre esce una corrente dal Mediterraneo sul fondo. La corrente
di uscita viaggia sotto quella di entrata perché è fatta di acqua più densa,
e la maggior densità è dovuta all'evaporazione che concentra i sali
disciolti. In altre parole, il bilancio idrologico del Mediterraneo è in
deficit; le entrate (piogge, fiumi, apporti dall'Atlantico sono inferiori alle
perdite (corrente di uscita + evaporazione: vedi Fig. 10A). Basterebbe
chiudere un po' di più il "rubinetto" di Gibilterra, lasciando
affluire acqua dall'Atlantico ma impedendo la corrente di uscita (Fig. 10B
e il "Mare Nostrum" diventerebbe un grosso lago, la cui acqua via via
se ne andrebbe in evaporazione. Diventerebbe dunque una gran salina, suddivisa
in "vasche" minori (i suoi vari bacini), e potrebbe giungere fino al
disseccamento completo (Fig. 10C).
Ed è proprio questo che i geologi hanno
immaginato, non senza contrasti e manifestazioni di incredulità: che le
comunicazioni tra Atlantico e Mediterraneo si siano in interotte nel Messiniano,
promuovendo la deposizione evaporitíca in tutto o quasi il Mediterraneo.
Si potrebbe obiettare che, facendo evaporare
tutta l'acqua del mare, otterremmo una crosta di sali spessa qualche metro
soltanto; come mai allora abbiamo decine di metri di gesso? Questo non è un
grosso problema: basta ammettere che la chiusura non fosse permanente o totale,
e che il Mediterraneo ricevesse acqua, e quindi apporto di sali, dall'oceano.
Anche in una salina occorre garantire un afflusso continuo dal mare per avere
una quantità di sale; quindi non si deve isolare completamente il bacino basta
mantenere il bilancio in spareggio, impedendo la corrente di uscita e facendo sì
che tutta l'acqua in entrata evapori. Si può così mantenere a lungo la
concentrazione necessaria a far avvenire la precipitazione dei sali.
Se torniamo a osservare la stratigrafia della
Vena del Gesso ci rendiamo conto che il modello del Mediterraneo ridotto a
salina non è forse pura fantasia. Esso ci aiuta a spiegare non solo il grande
spessore dei banchi, ma anche la ritmicità della stratificazione. Infatti
gessi, marne bituminose e calcari stromatolitici (i tre tipi base di roccia che
abbiamo descritto più sopra) si alternano e si ripetono in un ordine fisso.
Tale ordine corrisponde a un ciclo ripetuto di eventi; ed essendo registrato da
sedimenti, si chiama appunto ciclo sedimentario (Fig. 11).
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Fig. 8 -
Struttura laminare, detta stromatolitica e dovuta ad alghe o batteri che
si impiantavano sui bordi della laguna sul cui fondo cominciavano a
crescere i cristalli di selenite. (foto G. B. Vai) |
Fig. 9 - In
questo blocco, caduto da una parete della Vena, si vedono delle specie di
coccarde di cristalli di gesso, diversi da quelli tipici di selenite.
Questi si sviluppavano con gli assi di allungamento adagiato sul fondo del
bacino, come avviene in diverse saline naturali. (foto F. Ricci Lucchi) |
Fig, 10 - Uno
spaccato dello stretto di Gibilterra (A) mostra le acque del Mediterraneo
che escono in Atlantico. I valori indicati sono qelli della salinità.
Quelli più alti si trovano nella corrente di uscita, che è più densa
dell'acqua atlantica a causa dell'evaporazione subita. In B, si
immagina di abbassare un po' il livello del mare (o innalzare la soglia),
per cui la corrente densa torna indietro e l'acqua viene ricircolata
all'interno del Mediterraneo. In C, addirittura, la soglia viene chiusa,
provocando un collasso del livello marino nel bacino isolato. I casi
B e C rappresentano situazioni verificatesi probabilmente nel Messiniano. |
Fig. 11 - I
banchi della Vena mostrano aspetti, o facies, variabili dalla base al
tetto. Poichè questi aspetti si ripetono più volte nei diversi banchi,
si parla di cicli sedimentari. Noi abbiamo già visto le facies F2 (fig.
8) e F3 (Fig. 6); vedremo di seguito le facies F4 e F6 (Fig. 12 e 14),
nonchè le strutture a "cavolo" (Fig. 13). (da Ricci Lucchi
& Vai, 1983) |
Partiamo, ad esempio, dalle marne scure e
"fetide": oltre a intercalarsi ai banchi di gesso, si trovano anche
sotto il primo banco ("marne di letto" nel gergo minerario;
ricordiamo che la formazione gessifera era sfruttata per lo zolfo). Esse
indicano un ambiente stagnante e relativamente profondo, ma non salino; ci
segnalano che la circolazione e la comunicazione con l'oceano erano ridotte, la
salinità non era abbastanza alta per far precipitare i sali, in particolare il
solfato. Questo ambiente, detto euxinico per analogia col Mar Nero,
predispone le condizioni adatte alla precipitazione; durante la sua permanenza,
aumenta la concentrazione dei sali disciolti. Diminuisce intanto la profondità
e quando la luce penetra a sufficienza si instaurano i tappeti algali. Si
tratta di alghe e batteri che sopportano forti salinità (organismi come questi
sono tra i primi abitanti della Terra); è infatti entro gli strati
stromatolitici che vediamo formarsi i primi cristalli isolati di gesso (Fig.
8). La crescita del gesso diventa poi sempre più continua e massiccia: i
cristalli formano delle vere e proprie palizzate (Fig. 12), che si
sviluppano verso l'alto. La loro forma a coda di rondine, con una linea di
divisione in mezzo, dipende dal fatto che sono dei "geminati" (come
dei gemelli siamesi che crescono insieme, attaccati, ma in direzione diverse).
L'orientamento delle punte verso il basso riflette la posizione naturale di
crescita. Le punte spesso convergono in ciuffi che, quando sporgono alla base
del banco, sono chiamati cavoli o mammelloni (Fig. 13).
Col calare del livello marino da un lato,
l'accumulo dei cristalli dall'altro, la salina o laguna si viene colmando e il
gesso comincia a sporgere dal pelo dell'acqua durante le basse maree e viene
attaccato dalle onde durante le mareggiate. Detrito gessoso va così a
ricoprire le palizzate che eventualmente riprendono la crescita, e così via
ripetutamente finché la salina non si prosciuga del tutto e la precipitazione
del gesso si interrompe. Le piogge, anche se infrequenti a causa del clima più
arido dell'attuale, possono allora sciogliere una parte del gesso esposto sulle
rive, ridepositandolo poi sotto forma di noduli negli interstizi del terreno.
Il solfato che forma i noduli (masserelle biancastre) non è però gesso, ma anidrite,
minerale che non contiene acqua, come il gesso, nella sua struttura
cristallina Calando sempre il livello dell'acqua, i cristalli di gesso
cominciano a emergere e vengono sottoposti a degrado e erosione; in occasione
di piogge torrenziali, i corsi d'acqua si ingrossano e trascinano in massa
detrito e interi cristalli di selenite, abbandonandoli allo sfocio nelle
"pozze" d'acqua residua (Fig. 14).
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12A |
12B |
13A |
13B |
14 |
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Fig. 12 A -
Cristalli in parte interi (in posto), in parte rotti, entro un banco
di gesso; i cristalli sono fittamente addossati e formano dellle
specie di palizzate, evidenziate dagli accenni di stratificazione. (foto
G.B. Vai) |
Fig. 12 B
-Particolare di palizzate gessose; i cristalli sono tappezzati da fine
detrito carbonatico (bande chiare). (foto G.B. Vai) |
Fig. 13A
e 13B -
Due aspetti delle strutture a "cavolo", o "mammellone",
che si vedono alla base dei banchi di gesso quando viene asportata la
marna bituminosa, più erodibile. Rappresentano "ciuffi" e
"cespugli" di cristalli che si aggregavano durante la
crescita sul fondo fangoso del bacino. (foto F. Ricci Lucchi) |
Fig. 14 -
Qui gli aggregati gessosi, insieme a cristalli singoli e a frammenti,
non sono più in posto, ma sradicati e impastati di argilla. Sono
stati distesi e trascinati da colate, prodotte da piene torrentizie, o
ammassati da onde di tempesta sulle rive della "salina".
(foto F. Ricci Lucchi) |
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Se, a questo punto, immaginiamo che si riapra il
"rubinetto" di comunicazione con l'Atlantico, entrerà nel
Mediterraneo nuova acqua marina col suo carico di sali. Risalirà il livello e
le aree disseccate saranno di nuove sommerse; l'evaporazione tornerà a
concentrare i sali nell'acqua, ma, prima che possa riprendere la precipitazione
di gesso, si accumulerà del fango ricco di sostanza organica e resti di pesci,
che formerà il "partimento" o interstrato di marna scura. E così
parte un altro ciclo. Di questi cicli se ne registrano più di una dozzina,
solo che, dopo i primi 4-5, la porzione di gesso conservatasi in posto nei
banchi è sempre minore, e prevale via via il gesso detritico eroso e
trasportato da tempeste e piene fluviali. Poiché diminuisce anche lo spessore
dei banchi, possiamo ritenere che nei cicli più recenti si sia formato meno
gesso e che la durata dei cicli stessi sia stata inferiore a quella dei primi.
La precipitazione evaporitica del gesso cesserà definitivamente per la
diluizione dei sali operata da una grande trasgressione proveniente, però, non
dall'Atlantico ma dai bacini che coprivano gran parte dell'Europa orientale.
Queste acque erano salmastre anziché francamente saline. Un residuo odierno di
questi bacini è il Mar Caspio.
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