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AA. VV. Acque, grotte e Dei - 3000 anni di culti preromani in Romagna, Marche e Abruzzo, a cura di Marco Pacciarelli - Imola - Marzo 1997 |
LA GROTTA DEL RE TIBERIO: RESTI DI SEPOLTURE DELL'ETA' DEL BRONZO |
di Marco Pacciarelli, Wolf-Rudiger Teeger |
I rinvenimenti archeologici L' imboccatura della grotta del Re Tiberio si apre su una alta parete di roccia gessosa strapiombante sul fiume Senio, in corrispondenza della gola scavata da quest'ultimo nell'attraversamento della Formazione Gessoso-solfifera. Nel tratto iniziale della cavità, conformato a corridoio orizzontale ad andamento sinuoso, Giuseppe Scarabelli, facendo seguito a ricerche svolte in precedenza da Giacomo Tassinari, condusse nel 1870 un accurato scavo stratigrafico che portò all'individuazione, nello strato archeologico più profondo, poggiante sulla roccia di base raggiunta a quasi cinque metri di profondità, di resti ossei umani pertinenti a un individuo di età giovanile, e nello strato immediatamente soprastante di frammenti di vasellame dell'età del bronzo, in questo caso senza resti umani (Scarabelli 1872; Bertani 1996). I reperti di età preistorica e protostorica conservati presso i musei comunali di Imola - provenienti per la maggior parte dalle ricerche di Scarabelli e Tassinari, e in misura minore da recuperi eseguiti nell'800 da Domenico Zauli Naldi e in questo secolo dall'ispettore onorario Riccardo Lanzoni - pur non numericamente consistenti permettono con chiarezza di riconoscere la lunga durata della frequentazione (Pacciarelli 1996). Nell'ambito di tale nucleo di materiali sono stati infatti identificati frammenti ceramici pertinenti all'età del rame e a tutte le fasi del Bronzo medio e recente, mentre l'antica età del bronzo come si dirà è ben documentata da recuperi recenti. A partire dalla fine degli anni '50 di questo secolo il contesto geologico-ambientale in cui la grotta si inserisce è stato fortemente alterato dall'attività di una grande cava per l'estrazione del gesso, che fortunatamente ha risparmiato il tratto di parete rocciosa su cui si apre la grotta, grazie al vincolo archeologico legato proprio alla presenza di quest'ultima (Bentini 1993). Tale vincolo non ha tuttavia impedito che una ampia galleria di cava, dal percorso immediatamente sottostante a quello della grotta e ad esso tangente, provocasse lo smottamento di un lembo del riempimento della cavità. La sezione messa in luce da tale frana mostrò l'esistenza di una serie di sedimenti -antropizzati fino alla profondità di quasi sette metri, e alluvionali fino ad almeno dodici metri - depositatisi all'interno di una profonda depressione nell'ambito della grotta stessa, probabilmente un pozzo carsico (Bentini 1972). Alla profondità di ca. m 6,70 furono recuperate negli anni '70 dal Gruppo Speleologico Faentino alcune ossa umane, pertinenti ad almeno quattro individui, oggetto di uno studio da parte di E Facchini (Facchini 1972; v. più avanti W.R. Teegen), oltre a frammenti ceramici dell'età dei metalli (Bentini 1972). Successivi sopralluoghi del Gruppo Speleo G.A.M. di Mezzano (RA) portarono al ritrovamento di resti di una sepoltura riferibile a un individuo femminile di 16-20 anni d'età, cui era associato il vaso biansato n. 1, collocato vicino alla testa. Nell'ambito dello stesso recupero furono rinvenuti anche i vasi nn. 2-4, in non sicura associazione con la deposizione funeraria, e ossa di un neonato, che forse accompagnava la sepoltura della giovane donna. La datazione più plausibile per l'insieme dei vasi accolti, e dunque anche per i resti umani, si colloca in un momento evoluto dell'antica età del bronzo (Pacciarelli 1994). Il vaso biansato n. 1, riferibile a un filone tipologico che ha inizio con l'età del rame (v. ad es. Marzocchella 1980, figg. 2, 1 e 4, 1), è stato di recente collocato entro un tipo specifico datato all'antica età del bronzo (Cocchi Genick 1996; fig. 5, 2). Un analogo inserimento è stato proposto (Cocchi Genick 1996, fig. 5, 10) per un tipo di vaso biconico in cui potrebbe rientrare il pezzo n. 3, avvicinabile a esemplari del giacimento di Mezzano 1 (Franco 1982, pp. 98-103) e della facies di Palma Campania (Albore Livadie et al 1996, fig. 4). Il bicchiere n. 2 è pertinente ad una forma assai poco articolata cui non è facile attribuire una datazione circoscritta, ma che è comunque comune soprattutto nell'ambito di fasi antecedenti il Bronzo medio. Per la ciotola n. 4 che a prima vista potrebbe apparire affine, benché in verità in modo non puntuale, a forme del Bronzo medio iniziale, vanno tenuti presenti i confronti disponibili per la forma nel sito toscano dell'antica età dei bronzo di Casa Saracino (Sammartino, Grifoni Cremonesi 1996, il terzo a destra dal basso), e per l'ansa nel complesso emiliano di Rubiera (Tirabassi 1996, nn. 13 e 26) attribuito ad un orizzonte alquanto evoluto della stessa età. La fase di utilizzazione sepolcrale della grotta finora attestata sembra dunque collocabile nel corso del Bronzo antico, ma verosimilmente in un momento posteriore a quello documentato nel vicino complesso anch'esso funerario della Tanaccia. Rispetto a quest'ultimo è da osservare una differenza nel carattere delle ceramiche deposte come corredo, che al Re Tiberio sono di dimensioni normali, mentre alla Tanaccia sono molto spesso di formato piuttosto ridotto. Riguardo all'interpretazione dello specifico significato rituale della grotta in esame, come dirà W.-R. Teegen i dati sui resti ossei finora disponibili non sembrerebbero concordare con l'ipotesi che si tratti di un normale sepolcreto, data la prevalenza pressoché assoluta di individui pre-adulti o adulti giovani, che potrebbe far pensare piuttosto a una qualche forma di selezione all'interno della comunità. Assai poco si può dire sul carattere della frequentazione della grotta nel corso delle età del bronzo media e recente, ben documentata dai frammenti ritrovati nell'800 entro strati soprastanti a quelli con sepolture. Il fatto che a queste fasi successive almeno per ora non sembrino sicuramente associati resti ossei umani potrebbe far ipotizzare un mutamento almeno parziale dell'uso della cavità, forse in direzione di un carattere più propriamente cultuale (Bertani, Pacciarelli 1996). A tale proposito va considerato che gli strati scavati da Scarabelli non presentavano tracce di un'antropizzazione sufficientemente intensa da far pensare a un vero e proprio insediamento. Anche se solo a livello di indizio è inoltre opportuno segnalare che tra i reperti del Bronzo medio-recente sono attestate diverse forme specificamente legate al consumo dell'acqua, come tazze e soprattutto vasi con beccuccio (Pacciarelli 1996). M.P. I resti scheletrici umani I recuperi effettuati dal Gruppo Speleo G.A.M di Mezzano (RA) nella Grotta del Re Tiberio hanno portato alla luce resti scheletrici umani pertinenti a un individuo femminile di 16-20 anni (n. 5) e a un individuo neonato (ca. 0-3 mesi). Essendo stato possibile finora eseguire soltanto un primo breve esame del materiale scheletrico, le seguenti considerazioni sono da considerare preliminari. I primi ritrovamenti di resti scheletrici umani nella Grotta del Re Tiberio risalgono al secolo scorso. Tra i materiali provenienti dagli scavi di G. Scarabelli sono conservati resti di un individuo (M = F) di 13-16 anni e di un maschio (M > F) adulto (Teegen 1996). Nell'ambito di recuperi eseguiti dal Gruppo Speleologico di Faenza agli inizi degli anni settanta di questo secolo furono rinvenute altre osse umane, studiate da E Facchini (1972). Si tratta di resti di quattro individui. Unendo i dati forniti in Facchini 1972 e Teegen 1996 con quelli emersi dai più recenti recuperi si arriva ad un totale di almeno otto individui: Scavi Scarabelli #1 individuo di sesso non determinabile (M = F) di età giovane (13-16 anni) (inv. 797-804). #2 individuo di sesso maschile (M > F) di età adulta (21-59 anni) (inv. 851). Recuperi Gruppo Speleologico di Faenza #3 individuo maschile, giovane adulto (Facchini, individuo A). #4 individuo femminile, giovane adulto (Facchini, individuo B). #5 individuo giovanile (14-16 anni) di sesso non determinabile (M = F) (Facchini, individuo C). #6 bambino (10-12 anni) di sesso non determinabile (M = F) (Facchini, individuo D). Recuperi Speleo G.A.M Mezzano #7 individuo femminile (F) di età giovane (16-20 anni). #8 individuo di sesso non determinabile (M=F) di età neonato (0-3 mesi) (forse il figlio di #7). Secondo le notizie stratigrafiche date da Scarabelli i resti scheletrici dell'individuo di 13-16 anni sono riferibili al più antico strato di utilizzazione della grotta, posto a quasi cinque metri di profondità, databile probabilmente alla fine del Bronzo antico o ai primi inizi del Bronzo medio, mentre da strati superiori proviene verosimilmente il frammento di omero di individuo adulto (#2). Quest'ultimo, visto l'ottimo stato di conservazione, potrebbe essere anche un reperto recente. Senza altre analisi (ad es. C 14) una datazione sicura non è tuttavia possibile.I resti di più recente rinvenimento sono stati recuperati in strato ad oltre cinque metri di profondità dal Gruppo Speleo G.A.M. di Mezzano, ed erano associati a vasi databili verosimilmente alla fine del Bronzo antico. Le ossa reperite dal Gruppo Speleologico di Faenza provengono dallo stesso punto, ma sono state raccolte entro terreno franato. Benché dunque la loro collocazione stratigrafica sia meno sicura, non è impossibile possano avere una datazione simile. Paleodemografia Il campione di otto individui noti dalla Grotta del Re Tiberio è modesto. La metà degli individui è costituita da subadulti e gli adulti sembrano relativamente giovani. La composizione del gruppo dei subadulti non rispetta la mortalità protostorica, essendo i bambini più grandi sopra rappresentati. Il materiale finora noto non sembra dunque rappresentare una popolazione naturale. E' possibile che nella grotta fossero sepolti solo individui particolari, anche se non vi è alcun dato circa l'eventuale criterio di selezione. Contestualmente al recupero delle ossa della giovane donna (16-20 anni) è stato trovato un femore di un individuo di 0-3 mesi. Tale ritrovamento, qualora le deposizioni dei due individui fossero state realmente associate, potrebbe essere interpretato come sepoltura di madre e bambino neonato, forse morti postpartum. Sepolture di donne giovani con neonati o con bambini d'età inferiore a 12 mesi sono molto rare nella protostoria europea (cf. Kuhl 1982). Si tratta di un fenomeno più generale: perfino uno studio radiologico sulle mummie del Cile ha dimostrato la scarsità di donne giovani incinte (Arziaza et al. 1988). Anche se una stima della fecondità tramite alterazioni ("microtraumi") sulla faccia anteriore e posteriore dell'osso pubico e del solco preauriculare dell'ileo sembra possibile (cf. Macchiarelli et al. 1985), analisi su materiale recente indicano solo un trend (probabile, nessuna, poche, tante nascite) (Herrmann, Bergfelder 1978). Per avere dati più sicuri perciò il contesto archeologico sembra molto importante. Il lavoro di Macchiarelli et al. (1985) sulle necropoli dell'età del Ferro (Castiglione, Alfedena, Sulmona) ha evidenziato una scarsità di alterazioni di gravidanza in scheletri femminili di età giovanile (1/32 = ca. 3%). Paleopatologia Affezioni patologiche sono state rilevate su due degli otto individui (#1; #7) della Grotta del Re Tiberio. Il giovane (inv. 797-804) mostra margini cardati della metafisi prossimale della tibia che danno - secondo il prof. Schultz (Univ. Gottingen) - un discreto sospetto di rachitismo. Per una diagnosi più sicura si richiede un'analisi istologica. Per la prova delle linee di Harris (tracce macroscopiche non erano visibili) potrebbero essere utili delle radiografie. La giovane femmina (#7) presenta Cribra orbitalia (stadio 2 di Hengen 1971). Il termine Cribra orbitalia descrive solo un aspetto macroscopico. La porosità del tetto dell'orbita può essere causata da malattie diverse. Possibili sono infiammazioni dell'area dell'orbita e delle regioni ossee vicine (Schultz 1993), ad es. una Sinusitis frontalis. Molti autori hanno pensato all'anemia (cf. Forniaciari et al. 1982; Stuart-MacAdam & Kent 1992), ma recenti studi microscopici hanno dimostrato chiaramente che senza analisi istologica una diagnosi precisa non è possibile (Schultz 1993). Cribra orbitalia sono stati rilevati relativamente spesso fra inumati in grotta dell'Eneolitico e dell'età del bronzo. Nella Grotta dell'Inferno (Vecchiano, PI), databile nell'Eneolitico, 5 dei 7 cranii studiati mostravano Cribra orbitalia, e in parte anche Cribra cranii (Cocchi Genick et al. 1982, figg. 17-18). Nella grotta del Bronzo medio di Vittorio Vecchi (Sezze, LT) 6 dei 14 individui erano colpiti dalla patologia in discorso (Rubini et al. 1990). Poco è finora noto sulle frequenze di Cribra orbitalia nelle necropoli dell'età del bronzo italiana. E. Repetto et al. (1988) hanno riscontrato una frequenza di 4 individui su 7 nella tomba collettiva di Toppo Daguzzo (MT). Tra le sepolture del Bronzo medio della Sicilia Di Salvo e Tusa hanno osservato la presenza di Cribra orbitalia in 20 cranii su 70 studiati (stadio 2-3 di Hengen) (Repetto et al. 1988, p. 95). L' individuo #7 della Grotta dei Re Tiberio soffriva anche di un grosso difetto di carie con un ascesso alla radice con infiammazioni al margine. L'osso alveolare è ridotto (parodontopatie) e i denti hanno uno strato modesto di tartaro. Le alterazioni modeste sono tipiche per un individuo relativamente giovane. Le malattie analizzate nel campione della Grotta del Re Tiberio sono ben note da altre popolazioni della prima età del bronzo (cf. Schultz et al. 1996). W.R.T.
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Speleo GAM Mezzano (RA)