Il gesso è indubbiamente la roccia più peculiare dell'Appennino romagnolo.

È inserito all’interno di una potente successione di terreni di origine sedimentaria e dall’età geologicamente “giovane” (da 8-9 milioni di anni per la sottostante formazione Marnoso-arenacea, fino ad un milione di anni per la formazione delle Argille Azzurre, ben nota, quest'ultima, per la presenza dei calanchi che caratterizzano il paesaggio pedecollinare subito a valle della Vena del Gesso).

Tipicamente il gesso dà luogo ad una roccia grigiastra formata dall’aggregazione di grossi cristalli prismatici geminati a “coda di rondine” o a “ferro di lancia” (foto a destra), chiamata anche gesso selenitico o selenite (dal greco selene = luna) per gli argentei riflessi lunari.

Si tratta di un sale minerale (CaSO4.2H2O, cioè solfato di calcio bi-idrato) normalmente disciolto nell’acqua di mare così come il più noto cloruro di sodio (NaCl) o "sale da cucina".

 

La precipitazione dei sali disciolti nell'acqua marina avviene solamente tramite evaporazione (da qui il nome di "evaporiti").

Un esempio ben noto è dato dalle saline, ambienti artificiali creati dall'uomo, dove, grazie alla presenza di "vasche" opportunamente isolate dal mare aperto, è resa possibile la completa evaporazione dell'acqua marina e la conseguente deposizione delle evaporiti.

In sintesi, gli affioramenti gessosi della Vena sono la testimonianza di una delle più grandi catastrofi naturali della storia del Mediterraneo, ovvero la cosiddetta “Crisi di Salinità messiniana”.

Circa 6 milioni di anni fa, in un momento che i geologi hanno chiamato Messiniano, il sollevamento dell’area compresa tra Spagna e Nord Africa determinò infatti la chiusura dell'attuale Stretto di Gibilterra e quindi l’isolamento del Mediterraneo dall’Atlantico.

Anche oggi il Mediterraneo ha un bilancio idrologico negativo, il ché significa che la quantità di acqua portata dai fiumi e dalle piogge è inferiore a quella che evapora. In sostanza, se un evento geologico catastrofico provocasse oggi la chiusura dello stretto di Gibilterra, è ragionevole prevedere che nel volgere di qualche migliaio di anni il Mediterraneo si prosciugherebbe come si è verificato appunto nel Messiniano.

 

Nell’arco di alcune centinaia di migliaia di anni il Mediterraneo  subì numerosi episodi di parziale disseccamento dovuti all'evaporazione. Si accumularono così ingenti depositi salini di evaporiti quali carbonati, solfati (tra i quali appunto il gesso) e in alcune aree, come ad esempio in Sicilia, anche il cloruro di sodio (salgemma).

Più in particolare, il bacino che avrebbe dato luogo all’attuale Vena del Gesso doveva essere una specie di braccio di mare relativamente poco profondo, non lontano dall’emergente catena appenninica e soggetto a notevoli oscillazioni nel livello delle acque.

Infatti, nel corso del Messiniano per almeno 16 volte momenti aridi e freschi che determinavano un ritiro del mare (o regressione) e la conseguente precipitazione di evaporiti si alternarono ad altri caldo-umidi nei quali il livello marino tornava ad innalzarsi (ingressione marina), diluendo la concentrazione delle acque e favorendo la sedimentazione di fanghi argillosi ricchi di sostanza organica (gli interstrati): in tal modo ogni “andirivieni” delle acque imprimeva la propria impronta nelle rocce. Nei pressi di Monte della Volpe, così come lungo tutta la falesia gessosa esposta a sud ovest, è possibile osservare l'alternanza dei banchi gessosi intercalati ai più sottili interstrati argillosi caratterizzati dalla presenza di vegetazione.

Recentemente si è compreso che la regolare ripetizione delle coppie “interstrato argilloso/gesso selenitico” (osservabile negli affioramenti gessosi in tutto il bacino mediterraneo) indubbiamente legata a variazioni cicliche del clima terrestre, può essere messa in relazione con le oscillazioni dei parametri orbitali della Terra e, in particolare, con quello della precessione.

Siccome quest’ultimo ha un periodo di circa 21 mila anni, si è ipotizzato che tale potesse essere l’arco di tempo necessario alla sedimentazione di ogni singolo ciclo pelite/gesso (di spessore variabile da 10 ad oltre 30 m). In pratica, la deposizione delle 16 coppie rocciose di cui è formata la Vena del Gesso romagnola (per uno spessore complessivo di circa 200 m) si sarebbe verificata in “soli” 340 mila anni (tra circa 5,96 e 5,61 milioni di anni fa).

Ma nella Romagna occidentale la deposizione primaria delle evaporiti - a differenza della Sicilia dove si protrasse per circa altri 300 mila anni - si interruppe bruscamente circa 5 milioni e 600 mila anni fa con la prematura emersione della dorsale selenitica indotta da un’importante fase dell’orogenesi appenninica: il cosiddetto evento tettonico intra-messiniano. I depositi evaporitici, compressi, talora smembrati in gigantesche scaglie gessose accatastate l’una sull’altra e generalmente inclinati verso la pianura, per oltre 200 mila anni costituirono un ambiente continentale sottoposto all’azione erosiva degli agenti atmosferici.

Successivamente la Vena del Gesso venne poco alla volta sommersa da ambienti lagunari e palustri che la ricoprirono con pochi metri di melme ciottolose contenenti caratteristici molluschi di habitat salmastro e resti di vertebrati continentali (Formazione a Colombacci).

Il ripristino del collegamento tra Atlantico e Mediterraneo – verificatosi 5,3 milioni di anni fa - determinò un’invasione di acque marine oceaniche che ricoprirono la paleo-Vena del Gesso, ammantata dai sottili depositi dei “Colombacci”, con una spessa coltre di fanghi marini: i depositi della Formazione Argille Azzurre rappresentano infatti antichi fondali, tranquilli e piuttosto profondi.

Benché in prossimità della Vena affiori soltanto la porzione più antica di tale unità, nei suoi strati meno antichi, più prossimi alla pianura, si registra invece un netto deterioramento climatico a partire soprattutto da 1 milione e 800 mila anni fa (l’inizio del Pleistocene). Inoltre tali depositi documentano chiaramente come l’orogenesi non si sia esaurita col Messiniano ma che ci sono state successive fasi tettoniche per tutto il Plio-Pleistocene, coronate prima dall’emersione definitiva dell’Appennino tosco-romagnolo e poi dei fondali del “Golfo padano”, successivamente colmati dalle alluvioni dei fiumi tardo-quaternari: così nacque, circa 6-700 mila anni fa, la “moderna” Pianura Padana.

È però soltanto dal Pleistocene superiore ai giorni nostri (da 130 a 10 mila anni fa), che questo territorio assunse la fisionomia attuale. Le intense oscillazioni climatiche (era in corso l’ultima glaciazione) e le conseguenti variazioni del livello marino, e quindi del livello di base dei corsi d’acqua, innescarono potenti processi erosivi che poco alla volta “denudarono” le evaporiti dalla copertura sedimentaria sovrastante. Fu così che i potenti banchi selenitici della Vena emersero poco alla volta rispetto alle “tenere” rocce argillose circostanti.

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Ricostruzione degli ambienti che si sono succeduti nella Vena del Gesso negli ultimi sei Ma (Ma=milioni di anni)

a - deposizione delle evaporiti in lagune sovrassalate (da 6 a 5,6 Ma)

b - emersione indotta dall'orogenesi appenninica (da 5,6 a 5,4 Ma)

c - i gessi vengono ricoperti da ambienti paludosi e lagunari (da 5,4 a 5,3 Ma)

d - il mare ritorna a sommergere l'area (da 5,3 a 0,9 Ma)

e - il sollevamento appenninico determina la definitiva emersione del territorio (da 0,8 Ma)

 

Pagina a cura di Marco Sami

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