La Vena del Gesso romagnola
OSSERVAZIONI DELLA FEDERAZIONE SPELEOLOGICA REGIONALE DELL’EMILIA-ROMAGNA AL DOCUMENTO: " APPROVAZIONE SCHEMA DI ACCORDO TERRITORIALE TRA LA PROVINCIA DI RAVENNA E LA CITTÀ METROPOLITANA DI BOLOGNA FINALIZZATO ALLA DEFINIZIONE DEL PERCORSO E DELLE MODALITÀ DI FORMAZIONE, ADOZIONE E APPROVAZIONE DEL PIANO TERRITORIALE DEL PARCO REGIONALE DELLA VENA DEL GESSO ROMAGNOLA, AI SENSI E PER GLI EFFETTI DI CUI ALL'ART. 76 DELLA L.R. 21 DICEMBRE 2017, N. 24 "DISCIPLINA REGIONALE SULLA TUTELA E USO DEL TERRITORIO".
Bologna 16/11/2023
"Osservazioni della FSRER e analisi tecnica"
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Sono ormai trascorsi ben 18 anni dalla costituzione del Parco regionale della Vena del Gesso Romagnola.
Fino ad oggi, il Parco stesso era privo di Piano Territoriale, cioè dello strumento fondamentale di gestione e governo del suo territorio.
Addirittura, nel corso del 2011, fu redatta una proposta di piano che poi fu ingloriosamente affossata.
Oggi il piano territoriale è stato finalmente assunto in tempi insolitamente brevi.
Ciò è dovuto al fatto che, in assenza di piano territoriale, non è possibile autorizzare il piano delle attività estrattive (PIAE) della cava di Monte Tondo e di conseguenza si dovrebbe forzatamente interrompere l’attività di cava.
Ne consegue che spetta al piano territoriale del Parco autorizzare il proseguimento dell’attività estrattiva, ma solo in conformità alle finalità del Parco stesso.
Ma il Parco (per quanto di sua competenza e in palese contraddizione con le proprie finalità) con questo piano territoriale rimuove i precedenti vincoli all’estensione dell’area di cava.
Ciò è molto grave.
Va infatti sottolineato che nella documentazione del piano territoriale “l’attività estrattiva ha determinato una forte modifica dell’assetto geomorfologico e idrogeologico dell’area interessate all’interno di Rete Natura 2000” ne consegue che “l’attività estrattiva non è compatibile con le norme che regolamentano la Rete Natura 2000”. Sempre nei documenti del piano si afferma che “l’attività estrattiva non è ecosostenibile in quanto si asporta la formazione gessosa che non ha più possibilità di rigenerarsi” di conseguenza non è possibile alcun recupero o ripristino dell’area di cava.
Considerate queste premesse come è possibile giustificare il proseguo dell’attività estrattiva?
E ancora: come si può ripristinare qualcosa che non esiste più?
La legge regionale che regolamenta i siti di Rete Natura 2000, vieta poi la modifica e l’alterazione dei fenomeni carsici, il piano territoriale può invece consentirlo e puntualmente lo fa.
Ovviamente anche questa deroga è peggiorativa per la tutela di quegli stessi fenomeni carsici definiti dal piano territoriale “tra i maggiori non soltanto della Vena del Gesso ma dell’intera Unione Europea” e, come richiesto dal Parco stesso, inseriti nel Patrimonio Mondiale.
A tal proposito, va sottolineato che l’espansione dell’area di cava, a dispetto di quanto da più parti ventilato, comporterebbe l’esclusione dei gessi emiliano-romagnoli dalla lista dei Patrimoni Mondiali.
È davvero grave che un parco, di fatto, rimuova gli ostacoli e spiani la strada a quanti vorrebbero far decadere questo prestigioso riconoscimento che, giova ricordarlo, riguarda quasi per intero le formazioni gessose dell’Emilia-Romagna.
Viene poi istituita una sottozona con la quale si autorizza l’attività estrattiva. Il punto è che tale sottozona si estende abbondantemente oltre l’attuale limite del PIAE.
Quest’ area da decenni non è soggetta ad attività estrattiva e nemmeno potrà esserlo in futuro, inoltre è compresa nel Patrimonio Mondiale in quanto qui si sviluppa gran parte dei sistemi carsici del Re Tiberio e dei Crivellari e per tanto dovrebbe esser inserita nel Paco e in Zona B. Nulla giustifica che tale aerea oltrepassi il limite del PIAE a meno che non si pensi in futuro di abrogare le norme che vietano l’ampliamento della cava, e così prevedere, sin da oggi, anche da parte del piano territoriale, l’espansione dell’area estrattiva. Infine, in considerazione che è il parco ad autorizzare l’attività estrattiva, dovrebbe allo stesso tempo indicare il termine di cessazione della stessa, come indicato nelle raccomandazioni contenute nello studio della Regione pubblicato nel 2021.
In estrema sintesi, questo piano territoriale contraddice sé stesso: da un lato riconosce la valenza naturalistica della zona di cava e nello stesso tempo cancella (per quanto ad esso compete) gli ostacoli che potrebbero impedire, in futuro, la sua espansione, nonché la distruzione delle grotte. Ciò, tra l’altro, condurrebbe all’abrogazione del sito Patrimonio Mondiale. Un bel risultato per un Parco!
Ne consegue che il giudizio della Federazione Speleologica Regionale dell’Emilia-Romagna sul piano territoriale del Parco non può che essere pesantemente negativo.
OSSERVAZIONI E RICHIESTE DI INTEGRAZIONE E MODIFICHE DELLA FEDERAZIONE SPELEOLOGICA REGIONALE DELL’EMILIA-ROMAGNA, AI DOCUMENTI POSTI IN CONSULTAZIONE PER LA REDAZIONE DEL PIANO TERRITORIALE DEL PARCO.
BOLOGNA, 26/6/2023
Dopo un ritardo di 18 anni, si profila l’approvazione del Piano Territoriale che è lo strumento fondamentale per dare attuazione alle finalità del Parco della Vena del Gesso Romagnola, come indicato nella sua legge costitutiva.
Coerentemente con quanto affermato nei documenti costitutivi del parco stesso, la tutela e la conservazione dei fenomeni carsici è considerata una priorità del Piano. Riteniamo che questo si concretizzi attraverso l’inserimento in zona B (fatto salvo i sistemi carsici presenti nelle zone A) di tutte le grotte, risorgenti e i bacini di assorbimento delle acque carsiche. Purtroppo, la proposta del Piano Territoriale assunta dall’Ente il 18 aprile scorso non va in questa direzione.
Per quanto attiene poi alla Cava di Monte Tondo, dobbiamo constare ancora una volta la mancata volontà di fare cessare questo disastro ambientale che, come riconosciuto dell’Ente stesso: “…è senza alcun dubbio e di gran lunga la maggiore emergenza ambientale della Vena del Gesso, tale da mettere assolutamente in secondo piano ogni altro problema connesso alle aree carsiche del Parco”.
Nei fatti, constatiamo che nella proposta di Piano Territoriale non viene adottata alcuna misura atta ad impedire un’ulteriore distruzione della Formazione Gessoso-solfifera ad opera della cava.
In particolare, non si garantisce un’adeguata tutela dei sistemi carsici del Re Tiberio e dei Crivellari. Rileviamo che nei primi documenti risalenti al 26 febbraio 2023, l’Ente proponeva di inserirli in zona B, ma oggi tale decisione è rinviata a dopo la “dismissione dell’attività estrattiva”, come dettato da Saint-Gobain.
Inoltre, viene istituita nell’Area Contigua una sottozona che nei primi documenti era denominata “AC.CAV – aree di cava in attività”, mentre oggi viene ribattezzata “AC.CAV – aree contigue di Monte Tondo”. Chiediamo il perché di tale modifica. La cava, del resto, è ancora in attività, mentre di Monte Tondo rimane poco più che un profondo cratere.
Tale sottozona viene individuata sulla base di una “specifica morfologia dominante”; ebbene, come è scritto nei documenti, “… tutta l'area è importantissima dal punto di vista del carsismo ipogeo, con sistemi carsici complessi e estesi…”. Sistemi carsici che, ricordiamo, sulla base delle vigenti leggi, è vietato distruggere o alterare. Vi chiediamo con quali criteri e perché tale sottozona sia stata individuata, non certo per le “specifiche morfologie dominanti”. Tra l’altro l’area è interamente inserita nel Sito Rete Natura 2000 e comprende habitat prioritari.
Il non inserire oggi i fenomeni carsici in zona B e l’avere compreso una superficie che va ben oltre l’attuale limite del PIAE nella sottozona “AC.CAV – aree contigue di Monte Tondo” appare come una precisa scelta politica. La scelta di non volere affrontare la “maggiore emergenza ambientale della Vena del Gesso”.
Questa mancanza di volontà politica è poi confermata anche dalla totale assenza di ogni riferimento allo “scenario B” dello studio commissionato dalla Regione e da essa condiviso. Ricordiamo che tale scenario, se adottato, impedisce la distruzione dell’ambiente naturale oltre l’attuale limite di PIAE. Tale scenario, infine, suggerisce che la cava deve cessare l’attività nei prossimi dieci anni. Riteniamo che questo scenario corrisponda appieno alle finalità del Parco e chiediamo per quali motivi non venga nemmeno citato.
Fermo restando che l’attuale attività estrattiva sta di fatto distruggendo in modo irreversibile il sistema carsico del Re Tiberio, al punto che “il livello di sopportazione fisica dell’ambiente è oggi ampiamente superato avviando un processo di degrado gravissimo e superiore ad ogni previsione”.
Nei venti anni trascorsi nulla è stato fatto per riconvertire un’attività produttiva basata sulla distruzione di questo ambiente unico. Le autorità hanno considerato l’attività estrattiva unicamente come fattore di sviluppo. Ciò è stato un grave errore, conseguente ad una volontà politica che non può più riproporsi per il futuro.
Il Parco è stato istituito con lo scopo primario di garantire “La conservazione, la riqualificazione e la valorizzazione dell'ambiente naturale e del paesaggio”. Con questa proposta di Piano Territoriale non si affronta la “maggiore emergenza ambientale della Vena del Gesso”, ovvero la sua distruzione ad opera della cava di Monte Tondo. L’assenza di ogni riferimento alla cessazione dell’attività estrattiva e delle “opportune clausole di salvaguardia” di fatto crea le condizioni perché questo danno si riproduca e perduri nel tempo. Ciò mette in discussione la stessa ragione d’essere del Parco. Serve una seria riflessione per adottare scelte che pongano al centro l’ambiente, un’inversione di rotta, quanto mai urgente.
Federazione Speleologica Regionale dell'Emilia-Romagna Speleo GAM Mezzano-RA